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Rilettura teorico-clinica del modello transpersonale gruppoanalitico

In questo articolo si approfondirà il repertorio di conoscenze del modello gruppoanalitico in relazione delle acquisizioni clinico-scientifiche maturate negli ultimi anni in diverse aree.

A ben vedere il costrutto di transpersonale proposto Da Menarini e Pontalti, ed in particolar modo da Lo Verso, rappresenta un’ampia e articolata trama concettuale all’interno della quale possono essere collocate le direttrici teorico-metodologiche più utili per una clinica del/nel nostro tempo. Tutti i versanti del transpersonale risuonano in relazione alle trasformazioni sociali e culturali e alle acquisizioni scientifiche degli ultimi anni. In questa sede s’intende dare risalto alle specifiche implicazioni per ciascuno di essi.

Livello biologico-genetico

Le recenti acquisizioni delle neuroscienze e la crescente consapevolezza scientifica dell’efficacia biologica delle psicoterapie, ci consentono di tratteggiare con maggiore pienezza il significato del livello Biologico-Genetico del transpersonale, per descriverlo con argomenti clinicamente evidenti.

In particolare, alcune di tali acquisizioni ci permettono di formulare concettualizzazioni riguardanti aspetti oggi più chiari dei sedimenti biologici che fondano la nostra vita psichica.

Fra tali concettualizzazioni, la regolazione e disregolazione emotiva rappresenta sicuramente una dimensione del lavoro clinico oggi imprescindibile. Infatti, un obiettivo primario della psicoterapia è la ricostruzione o il potenziamento delle capacità di autoregolazione delle emozioni del paziente: la capacità di regolare in maniera flessibile gli stati emotivi attraverso le interazioni con altri essere umani e in assenza degli altri, ma anche la capacità di passare in maniera adattiva tra queste due modalità di regolazione.
Stati di disregolazione emotiva sono il risultato di una compromissione della capacità di organizzare risposte flessibili e adattive nei confronti del mondo interno ed esterno. Una regolazione delle emozioni ottimale permette invece alla mente di interagire con l’ambiente in maniera elastica e flessibile.
La capacità di modulare le emozioni e i loro stati di attivazione, attraverso quelli che vengono a volte definiti come processi di ‘regolazione affettiva’(Shore 2008), svolge un ruolo cruciale nelle attività interne e interpersonali dell’individuo.

A determinare le notevoli differenze individuali che si possono osservare nelle capacità di regolazione partecipano sia fattori temperamentali, sia passate esperienze relazionali.
Il temperamento, come espressione di alcune caratteristiche innate, influisce sulla sensibilità nei confronti dell’ambiente, sull’intensità delle risposte emozionali, sull’umore complessivo di base, la regolarità dei cicli biologici, la tendenza all’avvicinamento o all’allontanamento di fronte a situazioni nuove e insolite.

Ognuno di noi ha una ‘finestra di tolleranza’, margini entro i quali stati emozionali di diversa intensità possono essere processati senza che ciò comprometta il funzionamento del sistema nel suo complesso. Per alcune persone, elevati livelli di intensità emotiva sono gestibili senza alcuna difficoltà, e non impediscono di pensare, sentire e agire in maniera equilibrata ed efficace, mentre in altre, determinate emozioni (come l’ansia) o in generale tutte le emozioni, anche se di intensità moderata, possono interferire negativamente con le attività della mente e del corpo.
Fondamentalmente tutto ciò può essere spiegato in termini di attività eccessiva del sistema nervoso simpatico o parasimpatico (Siegel 2001). A volte si ha una simultanea attivazione dei due sistemi, che genera una sensazione interna di ‘perdita di controllo’, come se cercassimo di guidare un’automobile schiacciando contemporaneamente freno e acceleratore.
In molti di questi disturbi sono consigliabili interventi di natura sia farmacologica, sia psicoterapeutica. Infatti un percorso medico e psicoterapeutico ben integrato, può moltiplicare le possibilità di recupero del benessere psicofisico del paziente.
Un approccio terapeutico diretto ai vari livelli di attività del cervello e della mente può essere essenziale per aiutare l’individuo a raggiungere forme di autoregolazione più equilibrate e funzionali, e la relazione terapeuta-paziente può in questo senso fornire ‘vincoli esterni’ che contribuiscono a modificare le sue capacità di autorganizzazione.

Per uscire da questi stati, la mente deve imparare a ridurre gli effetti disorganizzanti prodotti da un particolare episodio di attivazione emozionale (Siegel 2001).
La psicoterapia può efficacemente intervenire sui processi fisiologici di base, ed in particolare sui meccanismi di valutazione che riportano i livelli di attivazione entro margini tollerabili diminuendo l’intensità dello stato di eccitazione e limitando il numero di circuiti e gruppi neuronali coinvolti. Può sollecitare la capacità di riflessione sugli stati mentali propri e altrui, capacità che svolge un ruolo importante in questo particolare aspetto della regolazione delle emozioni. Un recupero anche parziale di queste attività corticali può consentire all’individuo di alterare le caratteristiche dello stato emotivo e di sopportare livelli di attivazione precedentemente incontrollabili.

Inoltre, attraverso le metodologie delle neuroscienze (studi di genetica, neuroimaging) è stato possibile stabilire l’esistenza di substrati neurobiologici che determinano la predisposizione a determinate patologie cioè a disturbi psichiatrici e della personalità, ma anche la presenza di determinate caratteristiche affettive, comportamentali, cognitive.

D’altro canto fattori ambientali (situazioni stressanti, farmaci, traumi) a cui la persona può essere sottoposta nelle prime fasi dello sviluppo ma anche nel corso della vita, sono fondamentali nel condizionare le modalità di evoluzione del sistema nervoso. Gli eventi ambientali, infatti, sono determinanti nell’espressione dei geni che l’individuo possiede, e quindi nella predisposizione a pattern di comportamento, a reazioni affettive o a particolari forme di psicopatologia. La variabilità del patrimonio genetico di ciascun individuo e la variabilità degli eventi ambientali spiegano la sua unicità e l’ampia eterogeneità delle manifestazioni psicopatologiche possibili.

E’ stato inoltre ampiamente dimostrato che l’esposizione ai diversi fattori ambientali modifica le connessioni sinaptiche esistenti tra i neuroni essendo l’uomo dotato di una notevole plasticità sinaptica e quindi di modificazione visibili dei contatti tra neuroni, a seguito della modificazione di proteine già esistenti o della sintesi di nuove proteine, a partire da meccanismi complessi di regolazione genica.

Gli interventi psicologici e la psicoterapia in particolare sono oggi considerati stimoli in grado di modificare il patrimonio neurobiologico dell’individuo, agendo sulla funzione trascrizionale del gene cioè sulla espressione del fenotipo attraverso la produzione di proteine specifiche che determinano il carattere di quella cellula.
A questo proposito sono ritenuti fondamentali i meccanismi di Long Term Potentation (LPT) e Long Term Depression (LTD) che si susseguono in maniera dinamica garantendo la plasticità dei nostri processi di memorizzazione.

L’esistenza di tali processi rende possibile considerare l’ippocampo un serbatoio plastico delle informazioni. I cambiamenti indotti dagli interventi psicoterapeutici sembrano riguardare quindi ippocampo, amigdala (circuito dell’ansia) e corteccia prefrontale.

Diversi studi hanno dimostrato come l’esposizione a eventi stressanti nei primi anni di vita si associano a comportamenti in risposta a eventi stressanti nella vita adulta (Heim, Nemeroff 2001). Soggetti che hanno subito abusi fisici o psichici durante l’infanzia hanno una maggiore probabilità di sviluppare patologie in età adulta tra cui obesità, malattie cardiovascolari, diabete, malattie mentali (Bifulco, Brown, Adler 1991).
Studi effettuati sui roditori (Mundo 2009), mostrano che una prolungata separazione dalla madre è un evento avverso sufficiente per produrre un’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi- surrene a seguito di successivi eventi stressanti. Negli adulti infatti si osserva un aumentato livello d’ansia associata a rilascio di glucocorticoidi come conseguenza dell’esposizione ad eventi stressanti, diminuizione del numero di recettori presenti nell’ippocampo che sono utilizzati perchè si instauri un meccanismo di controllo (a feedback negativo) sull’attivazione del suddetto asse. Questo meccanismo rappresenta il substrato biologico dell’alterata risposta allo stress.
La mancata regolazione dell’asse ipotalamo ipofisi surrene (HPA) comporta un aumento dei livelli plasmatici di glucorticoidi che hanno un effetto dannoso sull’ippocampo, determinano una perdita di neuroni, una ridotta mielinizzazione e inibizione della neurogenesi.

I comportamenti di attaccamento delle madri nei primi giorni di vita sono causa di un aumento, mediato dagli ormoni tiroidei, dell’attività di alcuni recettori per la serotonina (i 5HT7).
Soggetti con disturbo borderline e anamnesi positiva per eventi traumatici presentano un aumentata attività dell’Hpa e livelli di ormone adrenocorticotropo e cortisolo aumentati.

Livello etnico-antropologico e istituzionale

Dal punto di vista Etnico-Antropologico (il versante macroistituzionale proprio della nostra comunità) ed Istituzionale (il versante dei referenti normativi e di ruolo più prossimi agli individui), incidono profondamente i recenti cambiamenti sul piano politico e culturale.

Questi ultimi, orientati in direzione della globalizzazione, del consumo, dell’individualismo, della competitività, hanno ormai da diversi anni indotto una precarietà delle istituzioni garanti della cosiddetta “coesione sociale: il lavoro, la famiglia, la sanità, le istituzioni educative e formative, non riescono più a proteggere le persone e a contenerne le ansie rispetto alle insidie di un mondo sempre più imprevedibile e indecifrabile, dove le poche risorse di oggi, possono scomparire domani.

Le difficoltà economiche sembrano diventare anche psicologiche, perché non sono semplicemente dovute ad una sobrietà imposta dall’appartenenza a ceti sociali stabilmente meno abbienti, ma comunque provvisti – come accadeva fino ad un paio di decenni fa – di un sistema di sostegno e tutela, capace di dare significato e fiducia rispetto al futuro.

L’impoverimento e l’instabilità economico-sociale, determinano un disagio che invade ampiamente il senso di sicurezza psicologica e affettiva delle persone, che sembrano così abbisognare proprio di punti di riferimento stabili, che non scompaiano in funzione della temperie finanziaria, magari scaturita da distanti ed incomprensibili contingenze dei mercati. I servizi di cura, oggi più che mai, possono essere tali se immuni il più possibile a tali andamenti e quindi non a rischio di chiusura improvvisa e senza adeguate alternative.

La fenomenologia del malessere psichico nel nostro tempo è inevitabilmente condizionata dalle trasformazioni culturali che soggiacciono alle scelte di indirizzo sociale ed economico che in quasi tutto il mondo si prendono, proprio perché insidiano, trasformandole o eliminandole, le istituzioni nell’ambito delle quali le persone nascono, si sviluppano e vivono.

Livello sociocomunicativo

La fenomenologia più evidente della contemporaneità si registra probabilmente al livello Sociocomunicativo del transpersonale.

Le forme del pensiero e della relazione, sono oggi profondamente segnate dal declino dei classici referenti intrapsichici, storicamente rintracciati in costrutti quali il SuperIo, la rimozione, l’Altro, ecc.

La disponibilità immediata del bene di consumo, sempre più effimero ed immateriale, per via della sua virtualizzazione e digitalizzazione, riduce sempre di più i margini che ci difendono dalla percezione di onnipotenza rispetto alla soddisfazione dei bisogni. Gli statuti intra ed interpersonali che impongono una proroga del mero soddisfacimento ed una simbolizzazione cognitivo-affettiva capace di sostituirsi ad esso, risultano inconsistenti.

La conseguenza pare essere una com-pulsione al godimento immediato che non ammette deroghe ed una identificazione rigida con maschere di autosufficienza. Pochi e deboli sembrano i garanti del limite, le autorità simboliche che decretano la dilazione spaziale e temporale della gratificazione, ossia il luogo di una reciprocità con il mondo mediata dalla rappresentazione del desiderio e dunque dal progetto (cfr. Recalcati, 2010).

Le emergenze psicopatologiche sembrano caratterizzate da simili vicissitudini e prendono conseguentemente le sembianze delle dipendenze e del narcisismo. Le prime, sempre più diffuse anche in assenza di abuso di sostanze, il secondo, sempre più assoluto e strettamente connesso ad una concezione individualistica dell’affermazione di sé.
Il senso di colpa nevrotico, quale espressione del conflitto con l’autorità interna, oggi è fenomeno ben presente, ma residuale, affiancato da una fenomenologia del nostro tempo, che sembra non contemplare un mondo interno popolato e vivo, né un conflitto: ecco il narcisismo più strenuo, segnale di una tragica rivendicazione, in cui i baluardi interiori sono soppiantati da immagini.

L’ombra della grandiosità e di quel deficit superegoico a cui si faceva riferimento, è depositata nella stupefacente moltiplicazione delle dipendenze. Oltre a quelle da sostanze, assistiamo al dilagare di forme di dipendenze molto varie. Shopping addiction, work addiction, gambling compulsivo, internet related pathology, dipendenze sessuali (Young, 1998; Lavanco, 2001; Pani & Biolcati, 2006), costituiscono, insieme a molti altri fenomeni, una costellazione letteralmente esplosa negli ultimi anni. Provando ad approfondire gli aspetti comuni a tali emergenze, colpisce l’impraticabilità dei confini, fisici e simbolici, che vengono contemporaneamente rifiutati e ricercati.

La frenesia del consumo sembra riflettere una profonda insofferenza nei confronti della “vicissitudine”, ossia di quel limite fisico e relazionale imposto all’uomo dal suo mondo. Le dimensioni dello spazio-tempo assumono i connotati di un ostacolo intollerabile rispetto alla gratificazione; contemporaneamente, la compulsione è la manifestazione disperata di un’insaziabile mancanza, che chiede, pretende anzi, senza possibilità di differirla, una risposta. Le fantasie e i rituali che accompagnano i dispositivi del comportamento dipendente, appaiono difatti come procedure di ricerca implicita di un limite, di un’esperienza che restituisca un significato stabile di sé in relazione all’altro, e non una soddisfazione fugace, ossia un’insoddisfazione.

Nelle dipendenze da internet e da realtà virtuali (Caretti & La Barbera, 2001; Cantelmi, Del Miglio, Talli & D’Andrea, 2000), sembrano concentrarsi emblematicamente i connotati tanto della dipendenza, quanto del narcisismo. La necessità di trovare risposte (information overload addiction), di soddisfazioni effimere (compulsive online gambling, Cybersexual addiction), di condividere regole di comportamento in comunità virtuali che finiscono per soppiantare quelle reali (role playing game, chat e community addiction), viene realizzata, attraverso il computer e la rete, finalmente senza l’intralcio dei corpi, delle distanze, delle attese, delle ferite che ogni relazione reale può comportare all’autostima (cfr: Young, 1998). La dimensione immaginaria della realtà virtuale, online od offline, costituisce lo scenario in cui la persona può dispiegare le proprie illusioni narcisistiche.

Nonostante le vicissitudini disgregative che sembrano agire sul solco di una relativizzazione del vincolo familiare, nel nostro territorio sembra ancora molto forte il ruolo della famiglia e della sua matrice. Da questo punto di vista le istanze del Transgenerazionale paiono ancora operare nella determinazione e concepimento dell’individuo. Proprio l’individuo, nella prospettiva gruppoanalitica, non è visto come un’entità separata ma come il frutto di un fitto intreccio di relazioni che lo costituiscono; egli diventa il portatore consapevole ed inconsapevole di vissuti ed esperienze che caratterizzano non solo la sua vita ma quella della sua storia familiare. Il bambino, quindi, sulla base di questi innesti primari sviluppa la sua identità:

“Non esiste soltanto il bambino, ma il bambino con la madre, non soltanto con la madre, ma la madre con i suoi genitori, con il suo coniuge, con gli altri figli, con il suo lavoro, la madre nel suo mondo. È con una folla che il bambino entra in contatto e da quella folla emergono attitudini nei confronti del neonato cui il neonato risponde attraverso suoi dispositivi che organizzano l’intenzionamento del mondo in un certo modo”. (Napolitani, 2007)

La famiglia è intesa come campo mentale, ovvero come quella rete in cui sono condensati i significati storici e i meccanismi psicodinamici organizzatisi intorno a tali significati (talvolta miti) che consentono, facilitano o ostacolano l’individuo nei suoi compiti evolutivi.
È a partire dalle elaborazioni del pensiero di Foulkes che le famiglie sono state incluse nel set(ting) della terapia gruppoanalitica; l’autore inglese scriveva:

“ Era per me un passo veramente essenziale […] accettare l’intera famiglia come una rete di persone da trattare tutte insieme nella stessa stanza e nello stesso tempo”.

La gruppoanalisi soggettuale guarda alla famiglia come a quella trama di significazione che, nel tempo e attraverso le generazioni, crea i modelli mentali attraverso i quali l’individuo entra in relazione con la realtà (sia interna che esterna). La famiglia rappresenta per l’individuo un vero e proprio universo identificatorio, all’interno del quale egli sviluppa la sua identità come complesso di relazioni interiorizzate.
La terapia si pone, quindi, come luogo di comprensione e trasformazione della storia transgenerazionale e delle trame che costituiscono l’inconscio familiare ripercuotendosi nel mondo interno di ciascuno e nel suo modo di relazionarsi con il mondo.